Ultime news
sabato 7 Giu 2025

La storia ci insegna che nessuna potenza domina per sempre. Imperi che sembravano inossidabili hanno conosciuto il declino: Roma, il Regno Unito, l’Unione Sovietica. Oggi, gli Stati Uniti mostrano segnali di cedimento che sollevano interrogativi sulla loro capacità di mantenere l’egemonia globale. Gli imperi crollano per una combinazione di fattori interni ed esterni. Tra le cause principali troviamo il peso economico della macchina statale, l’indebolimento della capacità militare e le divisioni sociali che erodono la coesione nazionale. L’Impero Romano, ad esempio, nel III secolo d.C. era ancora una potenza formidabile, ma subiva l’effetto di un’economia in difficoltà e di una classe dirigente corrotta. L’inflazione crescente e un fisco oppressivo minavano la stabilità, mentre le invasioni barbariche segnarono il colpo di grazia. L’Impero Britannico, che nel XIX secolo dominava un quarto del mondo, si vide progressivamente indebolito dalla concorrenza economica di Stati Uniti e Germania, fino alla dissoluzione definitiva nel XX secolo.

L’Unione Sovietica, apparentemente invulnerabile, crollò rapidamente sotto il peso della stagnazione economica e della perdita di fiducia nella propria ideologia. Ora, gli Stati Uniti sembrano avviati lungo un percorso simile. L’economia scricchiola, le tensioni interne aumentano e il loro ruolo nel mondo viene messo in discussione da potenze emergenti. Un tempo motore dell’innovazione e della produzione mondiale, l’economia statunitense appare sempre più fragile. Il debito pubblico cresce a ritmi preoccupanti. Le spese militari e sociali fuori controllo aggravano il problema. Nel settore manifatturiero, milioni di posti di lavoro sono stati delocalizzati in Asia, impoverendo la classe media e aumentando la dipendenza dalle importazioni.

Anche il dollaro, per decenni la valuta di riferimento globale, è sotto pressione. Cina e Russia promuovono alternative al sistema finanziario dominato dagli Stati Uniti, mentre alcuni paesi produttori di petrolio stanno valutando scambi in valute diverse dal dollaro. Se questa tendenza si consolidasse, Washington perderebbe uno dei suoi strumenti di potere più efficaci. Le società si indeboliscono quando la coesione interna viene meno. Negli Stati Uniti, le fratture politiche e culturali sono sempre più profonde. Secondo alcuni studi, la stragrande maggioranza dei cittadini ritiene che il paese sia irrimediabilmente diviso tra Democratici e Repubblicani. Ogni elezione diventa una battaglia feroce, e le tensioni sfociano sempre più spesso in episodi di violenza. L’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 ha rappresentato un punto di non ritorno: non una semplice protesta, ma la manifestazione tangibile di un paese lacerato.

A ciò si aggiunge un aumento della criminalità: il tasso di omicidi è cresciuto del 30% rispetto al decennio precedente, con città come Chicago e Detroit in difficoltà nel garantire la sicurezza ai cittadini. Anche le disuguaglianze economiche accentuano il malcontento. Il 10% più ricco della popolazione detiene il 70% della ricchezza nazionale, mentre il ceto medio si assottiglia. Il cosiddetto “sogno americano” appare sempre più irraggiungibile per molti, schiacciati da salari stagnanti e da un costo della vita in costante aumento.

Nonostante un budget per la difesa che ha superato gli 800 miliardi di dollari nel 2024, gli Stati Uniti faticano a mantenere il controllo delle dinamiche geopolitiche globali. Il ritiro caotico dall’Afghanistan ha ricordato la disfatta del Vietnam, minando la loro credibilità internazionale. In Medio Oriente, l’influenza americana è in declino, mentre potenze come Iran e Russia guadagnano terreno. Nel Pacifico, la Cina espande la sua presenza militare e diplomatica, sfidando apertamente il primato statunitense. Se un tempo Hollywood, la musica pop e i brand statunitensi rappresentavano il modello culturale globale, oggi questa influenza si sta riducendo. Il cinema coreano e indiano guadagna popolarità, mentre il predominio linguistico dell’inglese viene lentamente eroso dall’ascesa del mandarino e dell’hindi. Anche il sistema universitario statunitense, pur rimanendo tra i migliori al mondo, sta perdendo attrattiva a causa degli elevati costi e della crescente competizione di istituzioni europee e asiatiche.

Se il dominio statunitense dovesse attenuarsi potrebbe raccoglierne l’eredità la Cina che con un PIL di 19 trilioni di dollari nel 2024 e una strategia economica aggressiva, si pone come principale concorrente di Washington. Tuttavia, il paese deve affrontare un forte indebitamento e una popolazione che invecchia rapidamente. La Russia che nonostante le sanzioni e la guerra con l’Ucraina mantiene un ruolo geopolitico rilevante, ma la sua economia, basata principalmente sulle materie prime, limita le sue ambizioni. L’Unione Europea che con un’economia solida e una popolazione di 450 milioni di abitanti, potrebbe assumere un ruolo più centrale, ma che divisioni interne e perdita di coesione tra i vari paesi ne compromettono la capacità di azione.

L’India: con una crescita economica dell’8% annuo e una popolazione giovane appare come una potenza emergente. Tuttavia, infrastrutture carenti e disuguaglianze sociali restano zavorre pesanti da sopportare. Forse gli U.S.A. non scompariranno improvvisamente dalla scena globale, ma è evidente che il loro ruolo si sta ridimensionando progressivamente. La storia mostra che le potenze non crollano da un giorno all’altro, ma attraversano più o meno lente fasi di transizione. Il mondo si avvia verso un nuovo equilibrio multipolare, in cui Washington non sarà più l’unico centro di potere. Il futuro della geopolitica sarà segnato da un’interazione più complessa tra le grandi potenze, e gli Stati Uniti dovranno adattarsi a un panorama in continua evoluzione se non vogliono essere messi da parte.

Giuseppe CRISTIANO